Ci sono voluti giorni e giorni per decidere da quale meta iniziare a raccontare i miei viaggi… Alla fine ho scelto uno dei posti a cui mi sento particolarmente legata e che ho di più nel cuore: oggi vi porto a LOS ROQUES!
Per 12 lunghi anni – dal ’98 al 2010 – i miei genitori hanno vissuto per lavoro in Venezuela, una terra meravigliosa, che per me ha significato molto per vari motivi, nella quale ho vissuto forti emozioni e che ho avuto modo di esplorare in lungo e in largo. Ho amato ogni permanenza in quello splendido luogo.
Avendo Caracas un clima caldo tutto l’anno, e non piacendomi il freddo, in genere partivo dalla mia base romana ad inizio dicembre e andavo lì a “svernare”, restandoci per minimo 2-3 mesi, fino ad un massimo di 5-6 mesi.
L’inizio della loro permanenza in Venezuela corrispondeva agli anni della mia formazione universitaria. Così, da studentessa non frequentante, preparavo gli esami a Caracas e quando tornavo a Roma li sostenevo tutti insieme in facoltà.
I miei genitori abitavano in un attico con superattico di proporzioni immense, sulla collina di Bello Monte, da cui si godeva di una vista mozzafiato.
L’edificio era pieno di gigantesche terrazze, nelle quali cresceva una vastità di fiori e piante incantevoli: già solo quella vegetazione rappresentava una cura per l’anima… il miracolo della natura.
Una volta arrivata in quella fantastica dimora (che ho sempre definito castello) nell’arco di pochi giorni mi ritrovavo subito rigenerata, pervasa da un profondo benessere, che mi donava leggerezza, relax e armonia.
Ma non finiva lì… perché poi c’era la cosiddetta immancabile “ciliegina sulla torta”: L’arcipelago di LOS ROQUES! E allora sembrava di stare in Paradiso.
Puntualmente, durante la mia permanenza a Caracas, ho vissuto il privilegio di fare una mini-vacanza dentro la vacanza stessa, potendo esplorare e godere di innumerevoli visite presso destinazioni locali, e poi… ecco la meta da me più ambita: Los Roques, meraviglia pura!
Si tratta di un arcipelago corallino, parco nazionale Venezuelano, a circa 160 km dal porto della capitale, nel Mar dei Caraibi. È un’area protetta che comprende più di 300 isole di varia grandezza. La sua barriera corallina è famosa per le immersioni e lo snorkeling che offre. Il parco è rinomato per le sue spiagge di sabbia bianchissima e per i fondali che regalano una vista ed un’esperienza di diving incredibile.
Ogni volta che sono andata a Los Roques (dai miei 18 ai 30 anni, ho perso il conto di quante siano state…) ho sempre visitato diversi isolotti, ciascuno dei quali mi ha regalato una forma particolare di CURA PER L’ ANIMA.
A seconda di cosa mi servisse, mi riempivo del loro silenzio, per rilassare il mio spirito, oppure delle straordinarie sfumature di turchese, con una luce talmente intensa da illuminare la “vista interiore” , e purificavo il mio corpo, nutrendomi della squisita varietà di frutta tropicale che offrono i Caraibi.
La mia grande fortuna è stata quella di poter conoscere Los Roques negli anni 1998-2004, nei quali il Parco non era ancora troppo inflazionato, e lo si poteva scoprire nella sua essenza più vera e spontanea. Di lì a breve sarebbe scoppiato il boom di fama turistica, le stradine interne del Gran Roque (la base principale dell’arcipelago, unico punto in cui si atterra e da cui di decolla) si sarebbero affollate di negozietti, perdendo parte della loro naturale bellezza, che consisteva proprio nell’estrema semplicità. Quando ci andavo in visita io (da ventenne), si trovavano pochissimi rifornimenti in giro e lo si poteva definire davvero un posto incontaminato.
Questo aspetto è stato per me un fattore di grande guarigione interiore: pochi elementi, essenziali, per alleggerire l’anima, senza dover fare i conti con la -purtroppo inevitabile- inflazione ed invasione europea che, ahimè, ha contribuito ad alterare la “versione originale” di quel paradiso, perdendone la sua forma migliore.
Ci sono due modi per raggiungere il Gran Roque: via mare, oppure via piccoli aeroplani -Cessna Caravan- , premesso che a Los Roques non esiste un vero e proprio aeroporto, bensì soltanto una pista dove si atterra a vista, rigorosamente entro il tramonto.
Il volo, di brevissima durata (circa 40 minuti), era tutto un programma: il suo effetto “Healing” stava nel potere dell’adrenalina (prevalentemente dettata dalla paura) che si provava durante l’atterraggio. Questo sembrava avvenire direttamente sul mare, seguito da una frenata improvvisa, che consisteva in uno stridere di gomme e si concludeva con un rapidissimo avvicinamento alle rocce proprio di fronte a noi… per poi fermarsi di colpo, giusto mentre ci si rendeva conto di essere in apnea, per il timore di uno schianto!
Ricordo che spesso mi è capitato di provare inizialmente un senso di libertà ed estasi (Inner Healing) nell’osservare dall’alto l’arcipelago pieno di atolli, uno più bello dell’altro… mentre subito dopo, appunto durante l’atterraggio, la sensazione era simile a “ok adesso posso anche morire dopo aver visto tali meraviglie” piuttosto che “se non è destino arrivarci di persona sarò contenta di morire in queste splendide acque“. Ma per fortuna è sempre andato tutto per il meglio e ogni volta ho potuto ripristinare bene il mio respiro (Healing: effetto rinascita).
A Los Roques le strade non sono asfaltate, si cammina su terra battuta o sabbia, e si percorre tutto a piedi. Il Gran Roque nasce come un villaggio rurale di pescatori, che verso la fine degli anni ‘90 hanno iniziato ad aprire le loro porte ai primi turisti, offrendo sistemazioni basic, con minimi comfort e senza opzioni lussuose. Con il tempo questi alloggi sono stati trasformati in POSADAS, ovvero case private simili a locande, non troppo grandi, molto ravvicinate tra loro, in cui ospitare i turisti (sullo stile di una grande famiglia allargata), principalmente per dormire. Infatti, il soggiorno a Los Roques è caratterizzato da escursioni giornaliere, si torna nelle Posadas giusto per la notte. Ogni giorno si esplorano nuovi isolotti, ad una distanza di minimo 5 / massimo 30 minuti dal Gran Roque (dove non ci sono spiagge).
La maggior parte di quelle vacanze le ho fatte in compagnia della mia mamma, insieme abbiamo condiviso momenti bellissimi. Al mattino venivamo accompagnate con una barchetta e lasciate sull’isola, con in dotazione una ghiacciaia contenente il pranzo, l’acqua, e gli immancabili deliziosi mango e papaya, tipici del paese. Prima del tramonto la stessa barca veniva a riprenderci. Tornate alla Posada, con la pelle bruciante per la (troppa) esposizione al sole, ci facevamo la doccia con acqua inizialmente fredda (non c’era l’opzione dell’acqua calda) ma che, tempo di scendere dalla testa lungo il corpo, arrivava ai piedi già bollente, perché nell’atto di scorrere sulla pelle rovente, si scaldava “naturalmente”.
Su quegli atolli ho preso le peggiori scottature solari della mia vita: la sabbia è talmente bianca che riflette i raggi solari quasi ad amplificarne la potenza… ci si brucia persino stando tutto il tempo sotto l’ombrellone, previa protezione solare, in punti inimmaginabili come la zona dietro le orecchie! Per non parlare del dorso dei piedi e le caviglie….
È stato in quelle circostanze che ho iniziato a proteggermi e a curare la mia pelle, conoscendo le miracolose proprietà dell’aloe ed integrandolo nella mia vita senza mai più farne a meno (Skin Healing). Una volta presi una tremenda insolazione, ed i proprietari locali mi guarirono le ustioni (con tanto di bolle d’acqua) con impacchi del loro aloe appena colto dalle piante in cortile.
Proprio questo aspetto di condivisione delle tradizioni ed abitudini locali, mi ha reso speciale ogni viaggio lì… perchè, vivendolo in tutta la loro spontaneità, mi ha permesso di farmi sentire a casa, seppure non fosse la mia (Heart Healing).
Anche i pasti serali, condivisi con i proprietari nelle rispettive Posadas, avvenivano nella loro massima semplicità, ma erano preparati con estrema cura e dedizione. Prevalentemente a base di pesce fresco appena pescato, la cena assumeva un gusto ed un “sapore simbolico” che andava ben oltre il mero scopo di soddisfare i palati…
Si trattava di permettere a noi turisti un Accesso al loro mondo, una simbolica soglia di ingresso che rendeva tutto così familiare, creando la fusione di più continenti, di varie culture, diverse abitudini. Si otteneva come risultato finale quello di un’integrazione profonda, che in quei momenti di gradevole condivisione rendeva l’atmosfera molto intima, facendo percepire una sincera generosità, con il sorriso negli occhi, nel gesto spontaneo di offrire ciò che avevano a disposizione per noi. Quella che si definisce APERTURA DI CUORE.
So che negli anni successivi ai miei viaggi in Venezuela purtroppo si è persa gran parte di quella autenticità, lasciando spazio all’insediamento di tanti stranieri che vi si sono stabiliti ed hanno dato il via ad una silenziosa gara per vedere chi costruiva la Posada più carina, elegante e moderna, magari con l’aria condizionata, il WiFi, ed altri servizi mirati al guadagno. Nel tempo sono aumentati anche i mini market, diventando sempre più forniti (inizialmente vi erano giusto un paio di botteghini con generi di prima necessità) e sono iniziati a prevalere i divertimenti (attività sportive), specie della vita notturna (assente negli anni 2000).
Io però posso vantarmi di aver assaporato quel luogo magico nei suoi tempi migliori. Le spiagge più belle che io abbia mai visto e fotografato provengono dalle isolette di MADRISKI, FRANCISQUI, CRASQUI, DOS MOSQUISES, ed il più bello di tutti: Cayo de Agua.
Questo Cayo consiste in una lunga lingua di sabbia circondata dal mare caraibico, trasparente come se fosse aria, che in determinati momenti della giornata scompare per via della marea, per poi riemergere ricollegando i due lembi di terra che unisce fra loro.
Tutto il mio essere ha goduto di una felicità infinita nel trovarmi lì, senza nessuno accanto, in mezzo al niente, per ore ed ore… in una dimensionespazio-temporale dilatata. Su alcune delle isolette è capitato che restassimo anche solo in 4 persone per tutto il giorno, a beneficiare della vista delle tipiche mangrovie, dei grandi pellicani ed altri uccelli tropicali, circondati dall’acqua cristallina, dai colori stupendi che si fondevano con il cielo, dalle sfumature talmente splendide da farmi pensare di trovarmi dentro un dipinto. A volte ho creduto di sognare, fantasticando ad occhi aperti… “Imagination Healing”. Solo il ricordo mi procura gioia pura!
Essendo queste isole deserte, senza alcuna attrezzatura (al punto che a volte la mancanza di un WC è diventato un problema), lo stare nel NULLA, anche senza i cellulari (aspetto determinante), ha rappresentato una delle migliori fonti di vera rigenerazione, fisica e mentale. Tale scenario mi ha permesso di sperimentare un vuoto mentale che per me rappresenta la pace dei sensi.
Fiera di aver potuto beneficiare di cotanta ricchezza, ringrazio il cielo per un simile “regalo”, unico ed irripetibile: un’autentica esperienza, un insieme di incredibili ricordi che custodirò a vita fra le mie memorie più care, nel profondo del cuore.